1934:
“Mi unii ad una comitiva armata di falci e roncole e con i
lattanti al collo. Le ampie tuniche tessute a mano erano rimborsate in vita da
cinture larghe come sottopancia, alcune borchiate, e quelli che non erano a
piedi nudi calzavano gli ormai familiari mocassini dalla punta ricurva legati
da corregge di cuoio. Indossavano rozze giacche di vello di pecora con il pelo
all’interno e i copricapi - coni bulbosi di pelo nero o bianco alti una trentina
di centimetri - conferivano loro un’aria selvaggia e ardita.”
Siamo in ROMANIA, l'antica provincia romana della DACIA!
Per iniziare a parlare del mio piccolo tour mi sono servito di Patrick Fermor che, quasi 100 anni fa, si apprestava ad attraversare a piedi queste terre, in un lungo viaggio dall'Inghilterra fino a Costantinopoli.
Quello che vide e visse sulla sua pelle è un po’ quello che
si può ritrovare anche oggi, soprattutto nelle zone rurali.
La Transilvania, dal Medioevo ad oggi, infatti, ha subito
pochissimi cambiamenti; l’agricoltura è ancora la forma di sostentamento più
comune, tramandata a costo di dolore e fatica perché, oltre le invasioni ed i cambi di
"proprietà" che ha sempre subito, è stata conservata tale anche il regime comunista, non facendola progredire, ma neanche snaturandola. Ancora oggi percorrere la
Transilvania dà la sensazione di camminare in un limbo indefinito che spazia dai nostri giorni al Medioevo. Ed è una gran fortuna!
Dopo aver prenotato il volo per Bucarest non sapevo ancora
cosa sarei andato a cercare né cos' avrei potuto trovare in Romania. Avevo solo una vaga idea di quel che poteva interessarmi e, nel mio immaginario,
come penso sia in quello della maggior parte della gente, mi sarei aspettato
una Transilvania verde di boschi, irta di valli buie e tetre e costellate da
castelli e fortezze. Quest’immagine deriva più dai film sul vampiro più famoso
del mondo che da una vera e propria conoscenza della regione.
Un viaggio inizia sempre allo stesso modo, alla ricerca di documenti, romanzi, articoli di giornale e guide. Di solito mi piace vedere i luoghi dov'è passata la Storia, particolarità che caratterizzano la zona, i posti meno frequentati dalla gente... E
così ho iniziato a farmi un’idea su quello che avrebbe potuto piacermi e che mi
avrebbe spinto nella faticosa scoperta di una parte di mondo che ancora non conoscevo.
Dracula, il conte Vlad
“In Romania è sempre stato chiamato Vlad Tepes (L’impalatore),
ma per gli stranieri, che avevano in mente suo padre, Vlad il Drago (Vlad
Dracul), egli era il figlio del Drago.
Fu l’esotico e dragonesco trisillabo, accompagnato da una
vaga aura di crudeltà sanguinaria, a dare a Bram Stoker l’idea del <<Conte
Dracula>> vampiro, che di notte vola in frac e affonda gli incisivi nella
gola delle sue vittime [...].
Il fatto che la Transilvania sia effettivamente una
terra di castelli, foreste, conti e vampiri, e alcuni confusi filoni di storia
regionale siano in qualche modo riusciti ad aggrovigliarsi nell'atmosfera del
romanzo, lo ha sempre escluso da qualsiasi possibilità di gradimento. Gente che
dovrebbe sapere come stanno le cose sfrutta la confusione tra le due figure, e
quando viene indicato <<il castello di Dracula>> a una vagonata
qualsiasi di turisti, sospetto che non sia la figura storica quella che appare
nelle loro menti – il principe con il copricapo piumato: gli occhi sporgenti, i
baffi fluenti […] -, bensì un azzimato conte da operetta, con cappello a
cilindro, mantello foderato di seta e qualcosa di strano agli incisivi; un
tizio che andrebbe bene anche per la pubblicità del dopobarba, per le lezioni
di tango o per segare a metà una signora chiusa dentro una cassa in uno
spettacolo di varietà.”
Ho iniziato il mio racconto parlando di Dracula e in
Transilvania c’è un castello meta di migliaia di turisti ogni anno, proprio
perché attribuito alla figura del “Conte Dracula”. Si tratta del castello di
Bran, località a ridosso dei monti Carpazi il cui castello non ha alcun tipo di
legame con il famoso personaggio Rumeno.
La leggenda creata da un romanzo intorno a questo
personaggio è puro frutto della fantasia di uno scrittore irlandese che,
probabilmente, non mise mai piede in Romania. Vlad III nacque probabilmente a
Sighisoara, di cui parlerò in seguito, e venne inviato dal padre in Turchia, a
suggello del patto che la regione amministrata dal padre aveva fatto con il
governo Ottomano.
Una volta tornato in patria Vlad trovò la famiglia
barbaramente uccisa ed iniziò così la sua feroce opera di rivincita e vendetta.
Venne denominato “Tepes” dai turchi, ossia “l’impalatore”. Sadica pratica di
tortura che Vlad III usava contro i suoi nemici, meglio ancora se Turchi.
Il mito di Dracula è alimentato dal nome che egli stesso si
attribuiva: Vlad Dracul. Ciò stava solo a significare che Vlad era figlio “del
Drago”, ordine cavalleresco di cui era stato insignito suo padre. Tale ordine
era stato istituito dall’imperatore Austriaco Sigismondo e che aveva il compito
di difendere la famiglia reale da eventuali attacchi.
Il bellissimo castello di Bran era un' importante stazione di frontiera posta al
confine tra la Transilvania e la Valacchia, una vera e propria dogana dove venivano pagati i tributi per le merci trasportate.
Il castello in sé è splendido, un bellissimo esempio di
struttura militare adibito, in seguito, ad alloggio dei Reali di Romania; nel 1920 il
castello venne donato alla Regina Maria come ringraziamento ai
sovrani per il loro impegno nell'avvenuta unificazione della Romania.
L’arredamento interno è l'originale che derivò dalle ristrutturazioni fatte per ospitare i Reali, le sale danno un'idea dello stile di vita dei primi del novecento, nonostante una location d'eccezione come lo splendido castello medievale.
L’arredamento interno è l'originale che derivò dalle ristrutturazioni fatte per ospitare i Reali, le sale danno un'idea dello stile di vita dei primi del novecento, nonostante una location d'eccezione come lo splendido castello medievale.
Per concludere con Dracula è doveroso dire che nel castello
di Bran sono state dedicate due sale al vampiro di Bram Stocker; in queste
stanze viene spiegato chi era Vald Tepes e come si è arrivati al mito di
Dracula.
Rasnov (come si evince dalla scritta...)
A pochi chilometri di distanza dal castello di Bran si trova
la cittadella di Rasnov, appollaiata sulla cima di una ripida collina che si
affaccia su una vasta pianura coltivata. I Carpazi meridionali come corona.
Arrivando da Bran la cittadella affascina man mano che ci si avvicina. Il paese
ai suoi piedi e la fortificazione sono una visione d’incanto, rovinata solo
dall’Hollywoodiana scritta a caratteri cubitali arroccata sulla collina:
“Rasnov”.... Altrimenti è possibile scambiarla per qualcos’altro!
All’interno della cinta muraria i pochi edifici che ancora hanno una copertura
sono stati adibiti a negozi di souvenir e la piccola colonia di gatti che
abitano la fortificazione danno quel tocco di "selvaggio" che collane e magliette
vogliono a tutti i costi stemperare.
Le chiese fortificate ed i villaggi sassoni
Documentandomi sulla Transilvania ho scoperto quello che poi
sarebbe diventato il motivo principale per cui ho fatto tanta strada: le chiese
fortificate.
Fin dal 1123 il re Ungherese invitò a vivere in Transilvania
i contadini che abitavano la Sassonia (Germania sud occidentale), creando così una costellazione di paesi che, sia per quanto
riguarda l’architettura che la lingua parlata, rimasero ancorati fortemente
alla terra madre.
Intorno al 1.500 questi paesi si trovarono sempre più spesso
a fare i conti con le incursioni turche da sud e, da buoni tedeschi, si
organizzarono con vere e proprie fortezze costruite intorno a chiese già
esistenti.
All'interno del bastione ogni famiglia aveva uno spazio
coperto nel quale conservare cibo e beni nell'eventualità di un attacco.
Le chiese fortificate sono state dichiarate patrimonio
mondiale dell’umanità, tale patrimonio tutela, spesso, anche i paesi che, in
seguito, crebbero intorno alle fortificazioni. C’è da considerare che la
popolazione sassone ha abitato queste terre fino alla rivoluzione e solo nel
1990 è iniziato un progressivo spopolamento dei paesi. Questo ha fatto sì che
famiglie Rom si siano insediate in queste case abbandonate, determinando la
fine delle antiche comunità sassoni.
In questa parte di Transilvania il paese che attira più
turisti è Sighisoara, il cui centro storico, la cittadella fortificata, è anche
questo patrimonio dell’umanità UNESCO.
Le piccole viuzze acciottolate che si intrecciano nell’antico
quartiere medievale “riescono a sorprendere anche i viaggiatori più navigati”.
Case con facciate color pastello rendono il centro storico una piccola
bomboniera dove camminare e perdersi è un piacere.
Delle torri che disegnano il profilo di Sighisoara, a
spiccare è quella dell’orologio che costituisce anche l’ingresso principale
della cittadella. Mi risparmio la salita in cima alla torre, però, oggi è
giorno di neve ed il panorama è limitato all’immediata periferia.
Poco oltre l’ingresso in città dalla porta dell'orologio si incontra la casa in cui sembra sia nato
l’eroe nazionale Vlad Tepes, il famoso conte Dracula!
Sebbene si siano spese parole sulla vera identità di Vlad
III, i proprietari del ristorante ricavato al primo piano di questa casa hanno
pensato bene di presentare nel modo migliore la camera in cui nacque Vlad….
La salita fino alla collina avviene mediante una scalinata
in legno coperta. Oltre 200 gradini che conducono alla chiesa sulla sommità
della collina. La vista sulla cittadella, è rovinata solo dal grigiore del
cielo che non permette ai colori di splendere.
L’impressione che mi ha lasciato Sighisoara è sì di un
bellissimo paese transilvano, ma la “perfezione” delle case, almeno sulle poche
vie trafficate e nella piazza principale (Piata Cetatii), la rendono troppo
perfetta rispetto ai piccoli paesi, seppur caratteristici, che si incontrano
ovunque in Transilvania. Una sorta di “trappola” per i turisti, ammaliati dai
colori delle (seppur splendide) case, ma senza la vita che si vede altrove.
Le chiese fortificate...
“Mentre guidavamo verso sud, attraverso vigneti e campi di
luppolo, le colline boscose fecero ben presto scomparire dalla vista il
pinnacolo di Sighisoara. La campagna si stendeva ampia e solenne, con piccoli
villaggi annidati fra gli alberi sulla riva dei corsi d’acqua. Se domandavamo
il nome dei paesini, gli abitanti indicavano sempre nomi sassoni: Schaas,
Trappold, Henndorf, Niederhausen. […]
Erano costruiti intorno ad un cortile centrale recintato,
con ingressi ad arco ribassato per i carri, cancelli con tettoia a scandole,
tetti a displuvio e file di finestre sui timpani che si affacciavano sulla
strada.
Le murature erano solide, fatte per durare e moderatamente adorne, qua
e là, di audaci tocchi barocchi. Al centro di ciascun borgo, una robusta chiesa
erigeva un tozzo campanile quadrangolare dall'aspetto rude e difensivo. […]
Perforati da feritoie, i muri salivano lisci, per poi espandersi nelle caditoie;
al di sopra di queste, una fila di montanti formavano una loggia su cui
poggiava la piramide della torre campanaria. Tutti gli elementi architettonici
avevano precise funzioni, come pezzi di un’armatura, e i montanti tra cuspide e
cimasa conferivano al tetto triangolare l’aspetto di un elmo con la nasiera e
le fessure per gli occhi. Tutte le chiese avevano una celata del genere. […]
Nessuna delle chiese incontrate dopo la frontiera
rumeno-ungherese aveva quell’aspetto bellicoso; era anche vero, però, che
nessuna era altrettanto antica. […] Era per difendersi dai Turchi? “Si, era
contro i Turchi, ma c’erano stati nemici anche peggiori.
Ah, certo! Dissi pensando di avere capito: le chiese
corazzate dovevano essere state erette dopo l’invasione dei tartari di Batu Khan
(nel 1241), la tribù mongola che aveva ridotto in cenere il Regno, incendiando
chiese e castelli, massacrando a migliaia gli abitanti e riducendo in schiavitù
intere popolazioni. […]
L’ultima incursione tartaro-turca, per quanto non si fosse
spinta a fondo quanto quelle dei predecessori, era avvenuta nel 1788; e nel
vasto arco di tempo tra il 1241 e il 1788 le incursioni minori da parte dei
tartari e di altre bande di predoni erano state endemiche.
I razziatori attraversavano la Moldavia, superavano il passo
di Buzau nell’angolo sud-orientale dei Carpazi, e quindi si riversavano nel
prospero Burzenland, nella regione vicina a Kronstadt (Brasov). […]
All’arrivo dei razziatori, gli abitanti dei villaggi
fuggivano nei boschi e spingevano cavalli e mandrie nelle vaste grotte dei
Carpazi. […] Poi, circa un secolo dopo la costruzione di quelle chiese, furono
prese misure più adeguate: le città furono cinte di mura fortificate.
Incredibili cerchi di pietra con all’interno file sovrapposte di rifugi di
legno e scale per raggiungerli, come se fossero i palchi di un rustico teatro
d’opera. Ciascun rifugio era assegnato a una famiglia, che vi ammassava riserve
di carne salata, prosciutti e formaggi nell’eventualità di un assedio
improvviso. […]
Queste incursioni hanno lasciato poche altre tracce, se non
forse genetiche: secondo alcuni, la frequenza degli stupri del passato ha
impresso in una parte della popolazione dei tratti mongoli; ma alcuni ritengono
che questi siano il lascito del passaggio dei Cumani prima che evaporassero
nella grande pianura ungherese.”
Prejmer:
E’ la prima chiesa fortificata che mi vado a visitare e
non so bene cosa aspettarmi. Ho visto qualche immagine, ma come mio solito mi
spingo poco oltre per non rovinarmi la sorpresa. Leggo, mi informo e mi faccio
un’idea. Il piacere del trovare conferme “sul campo” , o delle smentite, è
tutto mio ed è un po’ il sale del mio viaggio.
La chiesa di Prejmer non delude affatto e, a posteriori, potrei
dire di aver iniziato con la più particolare e sorprendente. Il primo “stadio”
di fortificazione oltre l’ingresso, che porta al rifugio vero e proprio è già
di per sé una fortificazione. Alla “zona sicura” si accede mediante uno stretto
e basso corridoio, uscendo dal quale ci si affaccia in un intricato dedalo di
ballatoi in legno sospesi su più livelli.
Centinaia di porte si affacciano
su queste piattaforme scricchiolanti e,
mediante scale che sembrano posizionate a caso, si ha l’accesso ai diversi
piani.
In alcune sale è stata ricavata un’ esposizione dove vengono
messi in mostra gli strumenti con cui gli artigiani lavoravano legno e tessuti.
In alcuni di questi ambienti sono ricostruiti questi “monolocali” d’emergenza
e, curiosando un po’, ci si ritrova anche una piccola aula scolastica con tanto
di lavagna e banchi.
Esco da questa visita curioso di vedere altre chiese di
questo tipo. A mano a mano che mi accingevo a scoprire questa meraviglia, ho
mantenuto a lungo uno sguardo stupefatto. Non ero alla ricerca dell’aspetto
religioso, la chiesa difesa dalla fortificazione non è nient’altro che una
chiesa, ma quello che mi ha sorpreso di più è che varcando il porticato
d’ingresso si entra in un mondo immobile nella storia. La Storia fatta da
semplici contadini e dall’organizzazione dettagliata di ogni spazio che si
erano imposti. In questi luoghi non era il re o il principe di turno a dover
ricavare spazio e protezione, ma cittadini che dovevano “semplicemente”
salvarsi la vita.
Harman:
Anche la bianchissima chiesa fortificata di Harman è un gioiello da scoprire. L’aspetto esteriore è imponente e le poche feritoie la fanno apparire austera, benché candida alla luce del pallido sole.
Anche la bianchissima chiesa fortificata di Harman è un gioiello da scoprire. L’aspetto esteriore è imponente e le poche feritoie la fanno apparire austera, benché candida alla luce del pallido sole.
L’interno è simile a quanto già visto a Prejmer, ma meno
claustrofobico. L’aspetto è simile ad un’enorme fattoria in cui ogni ambiente,
se non adibito ad alloggio, aveva una funzione: alcuni utilizzati per le arti e
mestieri necessari alla vita di campagna, ma vi trova posto anche una bella
cappella affrescata.
Sono l’unico visitatore di questa meraviglia e me la godo
fino all’ultimo brandello di luce.
Esco che è quasi buio e sorrido nel sapermi disperso in un
piccolo avamposto sassone, sono tornato al 1500 e sono in Transilvania.
L’affascinate paese di Biertan cresce intorno ad una
imponente chiesa fortificata, le sue torri e la posizione soprelevata la
rendono del tutto simile ad una cittadella.
L’interno della chiesa è diviso in tre navate, lo spazio è
enorme considerando che ci troviamo in un paese di poche migliaia di abitanti.
La pala d’altare risplende con i suoi ricami dorati a gettare un po' di colore ad uno stile altrimenti austero.
La particolarità della chiesa di Biertan sta anche nella leggenda secondo cui una torre della fortificazione era utilizzata per rinchiudere le coppie che si stavano separando. La "cura" durava tre settimane durante le quali le coppie venivano costrette a convivere senza nessun'ingerenza esterna. Spesso la crisi veniva risolta e le coppie tornavano a vivere insieme.
Alma Vii:
Proseguendo da Biertan su strade secondarie si arriva a
questo piccolo paesino dove, benché sia tarda mattinata, c’è pochissima gente
in giro.
Arrivo alla chiesa fortificata che, sulla collina al centro
dell’abitato, si scorge già in lontananza. Sembra tutto chiuso e nessuno
intorno a cui poter chiedere. Apro il cancello che sale alla collina e mi
avventuro; nemmeno i cani randagi si occupano di me, pacifici come le persone
che vivono in queste zone. In cima alla collina, oltre la chiesa, c’è il
cimitero e la scuola. Il fulcro della vita spirituale di Alma Vii.
Trovo ovviamente la chiesa chiusa e mi fermo un po’ per
respirare. Non è la fatica a tagliarmi il fiato, piuttosto l’emozione: qui il
poco che c’è sembra veramente tanto! E il silenzio ne è la degna colonna
sonora.
Viscri. Dacia. 28 dicembre, ore 17 circa.
La più bella sensazione provata finora!
Arrivo a Viscri per vedere la chiesa fortificata. Un signore
rumeno, lì con la famiglia, mi dice che la chiesa è chiusa e che, se volevo,
potevo entrare nel cortile, risalire la collina e farmi il giro delle mura
esterne. Mi ha detto che ha provato a chiamare il custode (il numero era
indicato sul cancello del cortile), ma la signora ha risposto che non sarebbe
venuta, “fa troppo freddo”.
Ho così risalito la collina, l’aria era blu di neve, il
paese silenzioso dietro le piante di questo cortile imbiancato.
Nevica poco e non tira vento… Viscri ora e Alma Vii questa
mattina mi hanno dato l’impressione di essere alla “mia” Msoura in Marocco o ad Eyup ad Istanbul. Posti
carichi di energia che ho cercato ed ho raggiunto. Faticosamente e impiegando
tempo. Ma ripagano di ogni singolo sforzo, di ogni sogno fatto sopra questi
luoghi unici, incantati. Fermi nel tempo. E’ così che le immagino, le emozioni e i sogni possono diventare
immortali, è semplicemente come entrare a piedi pari in un’altra dimensione.
Qui in Transilvania la natura è quasi incontaminata, pura.
Il trattore per questi contadini è quasi un privilegio; vacche, buoi e cavalli
camminano tranquillamente per le vie del paese dove l’illuminazione pubblica
non c’è mai stata. Si abbeverano alla fontana e rientrano pacificamente in casa, nella
stalla.
Persone tranquille, ombre, a quest’ora della sera, camminano
per strada o si attardano difronte all'unica luce presente in zona, probabilmente un bar. La Transilvania è ancora un remoto angolo di pace.
Riparto soddisfatto da Viscri nel silenzio della campagna. Il vento e un po' di neve mi accompagnano da stamattina, ma mai, in tutta la giornata, ho avuto questa sensazione di benessere addosso. Improvvisamente sulla strada un cartello stradale mi porta indietro di 2000 anni. Siamo in Dacia, dove i romani venivano a cercare l'oro. Da allora è cambiato poco. Fortunatamente!
Brasov
Brasov è stata la mia base per gli spostamenti in Transilvania, si tratta di una bellissima e tranquilla cittadina a ridosso delle montagne Butegi che,
tramite il passo di Sinaia, la collegano con la grande pianura di Valacchia.
Purtroppo l’ho sfruttata poco, di sicuro non l’ho apprezzata
quanto meritasse. Sono però riuscito a viverci nei momenti di relax anche
perché Brasov è piena di bellissimi locali, molto frequentati ad ogni ora del
giorno.
Il centro storico è stato ristrutturato e ordinato alla
perfezione ed anche la zona che lo circonda, nonostante siano presenti palazzi
che “puzzanodicomunismo”, non è affatto trasandata. Viali alberati e piccoli
parchi cercano di dare colore ad una periferia altrimenti un po’ monotona, ma
nei sobborghi resistono ancora quartieri che conservano le vecchie case rumene.
Brasov meriterebbe di più, io, purtroppo, l’ho onorata solo
con laute cene.
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