lunedì 3 febbraio 2020

I villaggi sassoni e le chiese fortificate


“Mentre guidavamo verso sud, attraverso vigneti e campi di luppolo, le colline boscose fecero ben presto scomparire dalla vista il pinnacolo di Sighisoara. La campagna si stendeva ampia e solenne, con piccoli villaggi annidati fra gli alberi sulla riva dei corsi d’acqua. Se domandavamo il nome dei paesini, gli abitanti indicavano sempre nomi sassoni: Schaas, Trappold, Henndorf, Niederhausen. […] 
Erano costruiti intorno ad un cortile centrale recintato, con ingressi ad arco ribassato per i carri, cancelli con tettoia a scandole, tetti a displuvio e file di finestre sui timpani che si affacciavano sulla strada. 

Le murature erano solide, fatte per durare e moderatamente adorne, qua e là, di audaci tocchi barocchi. Al centro di ciascun borgo, una robusta chiesa erigeva un tozzo campanile quadrangolare dall'aspetto rude e difensivo. […] Perforati da feritoie, i muri salivano lisci, per poi espandersi nelle caditoie; al di sopra di queste, una fila di montanti formavano una loggia su cui poggiava la piramide della torre campanaria. Tutti gli elementi architettonici avevano precise funzioni, come pezzi di un’armatura, e i montanti tra cuspide e cimasa conferivano al tetto triangolare l’aspetto di un elmo con la nasiera e le fessure per gli occhi. Tutte le chiese avevano una celata del genere. […]

Nessuna delle chiese incontrate dopo la frontiera rumeno-ungherese aveva quell'aspetto bellicoso; era anche vero, però, che nessuna era altrettanto antica. […] Era per difendersi dai Turchi? “Si, era contro i Turchi, ma c’erano stati nemici anche peggiori.
Ah, certo! Dissi pensando di avere capito: le chiese corazzate dovevano essere state erette dopo l’invasione dei tartari di Batu Khan (nel 1241), la tribù mongola che aveva ridotto in cenere il Regno, incendiando chiese e castelli, massacrando a migliaia gli abitanti e riducendo in schiavitù intere popolazioni. […]
L’ultima incursione tartaro-turca, per quanto non si fosse spinta a fondo quanto quelle dei predecessori, era avvenuta nel 1788; e nel vasto arco di tempo tra il 1241 e il 1788 le incursioni minori da parte dei tartari e di altre bande di predoni erano state endemiche.
I razziatori attraversavano la Moldavia, superavano il passo di Buzau nell’angolo sud-orientale dei Carpazi, e quindi si riversavano nel prospero Burzenland, nella regione vicina a Kronstadt (Brasov). […]
All’arrivo dei razziatori, gli abitanti dei villaggi fuggivano nei boschi e spingevano cavalli e mandrie nelle vaste grotte dei Carpazi. […] Poi, circa un secolo dopo la costruzione di quelle chiese, furono prese misure più adeguate: le città furono cinte di mura fortificate. 
Incredibili cerchi di pietra con all’interno file sovrapposte di rifugi di legno e scale per raggiungerli, come se fossero i palchi di un rustico teatro d’opera. Ciascun rifugio era assegnato a una famiglia, che vi ammassava riserve di carne salata, prosciutti e formaggi nell’eventualità di un assedio improvviso. […]
Queste incursioni hanno lasciato poche altre tracce, se non forse genetiche: secondo alcuni, la frequenza degli stupri del passato ha impresso in una parte della popolazione dei tratti mongoli; ma alcuni ritengono che questi siano il lascito del passaggio dei Cumani prima che evaporassero nella grande pianura ungherese.”

Prejmer:
E’ la prima chiesa fortificata che mi vado a visitare e non so bene cosa aspettarmi. Ho visto qualche immagine, ma come mio solito mi spingo poco oltre per non rovinarmi la sorpresa. Leggo, mi informo e mi faccio un’idea. Il piacere del trovare conferme “sul campo” , o delle smentite, è tutto mio ed è un po’ il sale del mio viaggio.


La chiesa di Prejmer non delude affatto e, a posteriori, potrei dire di aver iniziato con la più particolare e sorprendente. Il primo “stadio” di fortificazione oltre l’ingresso, che porta al rifugio vero e proprio è già di per sé una fortificazione. Alla “zona sicura” si accede mediante uno stretto e basso corridoio, uscendo dal quale ci si affaccia in un intricato dedalo di ballatoi in legno sospesi su più livelli. 



Centinaia di porte si affacciano su  queste piattaforme scricchiolanti e, mediante scale che sembrano posizionate a caso, si ha l’accesso ai diversi piani.
Alcuni passaggi permettono di entrare nell’anello esterno delle fortificazioni che, mediante feritoie, dava la possibilità di attaccare il nemico turco proteggendosi dietro le spesse mura.
In alcune sale è stata ricavata un’ esposizione dove vengono messi in mostra gli strumenti con cui gli artigiani lavoravano legno e tessuti. In alcuni di questi ambienti sono ricostruiti questi “monolocali” d’emergenza e, curiosando un po’, ci si ritrova anche una piccola aula scolastica con tanto di lavagna e banchi.

Esco da questa visita curioso di vedere altre chiese di questo tipo. A mano a mano che mi accingevo a scoprire questa meraviglia, ho mantenuto a lungo uno sguardo stupefatto. Non ero alla ricerca dell’aspetto religioso, la chiesa difesa dalla fortificazione non è nient’altro che una chiesa, ma quello che mi ha sorpreso di più è che varcando il porticato d’ingresso si entra in un mondo immobile nella storia. La Storia fatta da semplici contadini e dall’organizzazione dettagliata di ogni spazio che si erano imposti. In questi luoghi non era il re o il principe di turno a dover ricavare spazio e protezione, ma cittadini che dovevano “semplicemente” salvarsi la vita.



Harman:


Anche la bianchissima chiesa fortificata di Harman è un gioiello da scoprire. L’aspetto esteriore è imponente e le poche feritoie la fanno apparire austera, benché candida alla luce del pallido sole.
L’interno è simile a quanto già visto a Prejmer, ma meno claustrofobico. L’aspetto è simile ad un’enorme fattoria in cui ogni ambiente, se non adibito ad alloggio, aveva una funzione: alcuni utilizzati per le arti e mestieri necessari alla vita di campagna, ma vi trova posto anche una bella cappella affrescata.

Sono l’unico visitatore di questa meraviglia e me la godo fino all’ultimo brandello di luce.
Esco che è quasi buio e sorrido nel sapermi disperso in un piccolo avamposto sassone, sono tornato al 1500 e sono in Transilvania.

Biertan:

L’affascinate paese di Biertan cresce intorno ad una imponente chiesa fortificata, le sue torri e la posizione soprelevata la rendono del tutto simile ad una cittadella.
L’interno della chiesa è diviso in tre navate, lo spazio è enorme considerando che ci troviamo in un paese di poche migliaia di abitanti. La pala d’altare risplende con i suoi ricami dorati a gettare un po' di colore ad uno stile altrimenti austero.
La particolarità della chiesa di Biertan sta anche nella leggenda secondo cui una torre della fortificazione era utilizzata per rinchiudere le coppie che si stavano separando. La "cura" durava tre settimane durante le quali le coppie venivano costrette a convivere senza nessun'ingerenza esterna. Spesso la crisi veniva risolta e le coppie tornavano a vivere insieme. 

Alma Vii:
Proseguendo da Biertan su strade secondarie si arriva a questo piccolo paesino dove, benché sia tarda mattinata, c’è pochissima gente in giro.
Arrivo alla chiesa fortificata che, sulla collina al centro dell’abitato, si scorge già in lontananza. Sembra tutto chiuso e nessuno intorno a cui poter chiedere. Apro il cancello che sale alla collina e mi avventuro; nemmeno i cani randagi si occupano di me, pacifici come le persone che vivono in queste zone. In cima alla collina, oltre la chiesa, c’è il cimitero e la scuola. Il fulcro della vita spirituale di Alma Vii.

Trovo ovviamente la chiesa chiusa e mi fermo un po’ per respirare. Non è la fatica a tagliarmi il fiato, piuttosto l’emozione: qui il poco che c’è sembra veramente tanto! E il silenzio ne è la degna colonna sonora.

Viscri. Dacia. 28 dicembre, ore 17 circa.
La più bella sensazione provata finora!
Arrivo a Viscri per vedere la chiesa fortificata. Un signore rumeno, lì con la famiglia, mi dice che la chiesa è chiusa e che, se volevo, potevo entrare nel cortile, risalire la collina e farmi il giro delle mura esterne. Mi ha detto che ha provato a chiamare il custode (il numero era indicato sul cancello del cortile), ma la signora ha risposto che non sarebbe venuta, “fa troppo freddo”.
Ho così risalito la collina, l’aria era blu di neve, il paese silenzioso dietro le piante di questo cortile imbiancato.

Nevica poco e non tira vento… Viscri ora e Alma Vii questa mattina mi hanno dato l’impressione di essere alla “mia” Msoura in Marocco o ad Eyup ad Istanbul. Posti carichi di energia che ho cercato ed ho raggiunto. Faticosamente e impiegando tempo. Ma ripagano di ogni singolo sforzo, di ogni sogno fatto sopra questi luoghi unici, incantati. Fermi nel tempo. E’ così che le immagino, le emozioni e i sogni possono diventare immortali, è semplicemente come entrare a piedi pari in un’altra dimensione.

Qui in Transilvania la natura è quasi incontaminata, pura. Il trattore per questi contadini è quasi un privilegio; vacche, buoi e cavalli camminano tranquillamente per le vie del paese dove l’illuminazione pubblica non c’è mai stata. Si abbeverano alla fontana e rientrano pacificamente in casa, nella stalla.
Persone tranquille, ombre, a quest’ora della sera, camminano per strada o si attardano difronte all'unica luce presente in zona, probabilmente un bar. La Transilvania è ancora un remoto angolo di pace.

Riparto soddisfatto da Viscri nel silenzio della campagna. Il vento e un po' di neve mi accompagnano da stamattina, ma mai, in tutta la giornata, ho avuto questa sensazione di benessere addosso. Improvvisamente sulla strada un cartello stradale mi porta indietro di 2000 anni. Siamo in Dacia, dove i romani venivano a cercare l'oro. Da allora è cambiato poco. Fortunatamente!

Brasov

Brasov è stata la mia base per gli spostamenti in Transilvania, si tratta di una  bellissima e tranquilla cittadina a ridosso delle montagne Butegi che, tramite il passo di Sinaia, la collegano con la grande pianura di Valacchia.
Purtroppo l’ho sfruttata poco, di sicuro non l’ho apprezzata quanto meritasse. Sono però riuscito a viverci nei momenti di relax anche perché Brasov è piena di bellissimi locali, molto frequentati ad ogni ora del giorno.

Il centro storico è stato ristrutturato e ordinato alla perfezione ed anche la zona che lo circonda, nonostante siano presenti palazzi che “puzzanodicomunismo”, non è affatto trasandata. Viali alberati e piccoli parchi cercano di dare colore ad una periferia altrimenti un po’ monotona, ma nei sobborghi resistono ancora quartieri che conservano le vecchie case rumene.

Brasov meriterebbe di più, io, purtroppo, l’ho onorata solo con laute cene.


sabato 25 gennaio 2020

La vera Transilvania



Documentandomi sulla Transilvania ho scoperto quello che poi sarebbe diventato il motivo principale per cui ho fatto tanta strada: le chiese fortificate.
Fin dal 1123 il re Ungherese invitò a vivere in Transilvania i contadini che abitavano la Sassonia (Germania sud occidentale), creando così  una costellazione di paesi che, sia per quanto riguarda l’architettura che la lingua parlata, rimasero ancorati fortemente alla terra madre.
Intorno al 1.500 questi paesi si trovarono sempre più spesso a fare i conti con le incursioni turche da sud e, da buoni tedeschi, si organizzarono con vere e proprie fortezze costruite intorno a chiese già esistenti.

Ogni chiesa era cinta da mura fortificate, torri di guardia che al suo interno consentiva ai contadini di vivere in sicurezza durante i lunghi assedi che, talvolta, duravano anche mesi.
All'interno del bastione ogni famiglia aveva uno spazio coperto nel quale conservare cibo e beni nell'eventualità di un attacco.






Tali fortezze avevano un unico accesso dotato di una resistente saracinesca che poteva essere abbassata velocemente.

Le chiese fortificate sono state dichiarate patrimonio mondiale dell’umanità, tale patrimonio tutela, spesso, anche i paesi che, in seguito, crebbero intorno alle fortificazioni. C’è da considerare che la popolazione sassone ha abitato queste terre fino alla rivoluzione e solo nel 1990 è iniziato un progressivo spopolamento dei paesi. Questo ha fatto sì che famiglie Rom si siano insediate in queste case abbandonate, determinando la fine delle antiche comunità sassoni.


 Sighisoara:


In questa parte di Transilvania il paese che attira più turisti è Sighisoara, il cui centro storico, la cittadella fortificata, è anche questo patrimonio dell’umanità UNESCO.
Le piccole viuzze acciottolate che si intrecciano nell’antico quartiere medievale “riescono a sorprendere anche i viaggiatori più navigati”. Case con facciate color pastello rendono il centro storico una piccola bomboniera dove camminare e perdersi è un piacere.
Delle torri che disegnano il profilo di Sighisoara, a spiccare è quella dell’orologio che costituisce anche l’ingresso principale della cittadella. Mi risparmio la salita in cima alla torre, però, oggi è giorno di neve ed il panorama è limitato all’immediata periferia.





Poco oltre l’ingresso in città dalla porta dell'orologio si incontra la casa in cui sembra sia nato l’eroe nazionale Vlad Tepes, il famoso conte Dracula!
Sebbene si siano spese parole sulla vera identità di Vlad III, i proprietari del ristorante ricavato al primo piano di questa casa hanno pensato bene di presentare nel modo migliore la camera in cui nacque Vlad….




La salita fino alla collina avviene mediante una scalinata in legno coperta. Oltre 200 gradini che conducono alla chiesa sulla sommità della collina. La vista sulla cittadella, è rovinata solo dal grigiore del cielo che non permette ai colori di splendere.




L’impressione che mi ha lasciato Sighisoara è sì di un bellissimo paese transilvano, ma la “perfezione” delle case, almeno sulle poche vie trafficate e nella piazza principale (Piata Cetatii), la rendono troppo perfetta rispetto ai piccoli paesi, seppur caratteristici, che si incontrano ovunque in Transilvania. Una sorta di “trappola” per i turisti, ammaliati dai colori delle (seppur splendide) case, ma senza la vita che si vede altrove.


Le chiese fortificate...

“Mentre guidavamo verso sud, attraverso vigneti e campi di luppolo, le colline boscose fecero ben presto scomparire dalla vista il pinnacolo di Sighisoara. La campagna si stendeva ampia e solenne, con piccoli villaggi annidati fra gli alberi sulla riva dei corsi d’acqua. Se domandavamo il nome dei paesini, gli abitanti indicavano sempre nomi sassoni: Schaas, Trappold, Henndorf, Niederhausen. […] 
Erano costruiti intorno ad un cortile centrale recintato, con ingressi ad arco ribassato per i carri, cancelli con tettoia a scandole, tetti a displuvio e file di finestre sui timpani che si affacciavano sulla strada. 

Le murature erano solide, fatte per durare e moderatamente adorne, qua e là, di audaci tocchi barocchi. Al centro di ciascun borgo, una robusta chiesa erigeva un tozzo campanile quadrangolare dall'aspetto rude e difensivo. […] Perforati da feritoie, i muri salivano lisci, per poi espandersi nelle caditoie; al di sopra di queste, una fila di montanti formavano una loggia su cui poggiava la piramide della torre campanaria. Tutti gli elementi architettonici avevano precise funzioni, come pezzi di un’armatura, e i montanti tra cuspide e cimasa conferivano al tetto triangolare l’aspetto di un elmo con la nasiera e le fessure per gli occhi. Tutte le chiese avevano una celata del genere. […]

Nessuna delle chiese incontrate dopo la frontiera rumeno-ungherese aveva quell’aspetto bellicoso; era anche vero, però, che nessuna era altrettanto antica. […] Era per difendersi dai Turchi? “Si, era contro i Turchi, ma c’erano stati nemici anche peggiori.
Ah, certo! Dissi pensando di avere capito: le chiese corazzate dovevano essere state erette dopo l’invasione dei tartari di Batu Khan (nel 1241), la tribù mongola che aveva ridotto in cenere il Regno, incendiando chiese e castelli, massacrando a migliaia gli abitanti e riducendo in schiavitù intere popolazioni. […]
L’ultima incursione tartaro-turca, per quanto non si fosse spinta a fondo quanto quelle dei predecessori, era avvenuta nel 1788; e nel vasto arco di tempo tra il 1241 e il 1788 le incursioni minori da parte dei tartari e di altre bande di predoni erano state endemiche.
I razziatori attraversavano la Moldavia, superavano il passo di Buzau nell’angolo sud-orientale dei Carpazi, e quindi si riversavano nel prospero Burzenland, nella regione vicina a Kronstadt (Brasov). […]
All’arrivo dei razziatori, gli abitanti dei villaggi fuggivano nei boschi e spingevano cavalli e mandrie nelle vaste grotte dei Carpazi. […] Poi, circa un secolo dopo la costruzione di quelle chiese, furono prese misure più adeguate: le città furono cinte di mura fortificate. 
Incredibili cerchi di pietra con all’interno file sovrapposte di rifugi di legno e scale per raggiungerli, come se fossero i palchi di un rustico teatro d’opera. Ciascun rifugio era assegnato a una famiglia, che vi ammassava riserve di carne salata, prosciutti e formaggi nell’eventualità di un assedio improvviso. […]
Queste incursioni hanno lasciato poche altre tracce, se non forse genetiche: secondo alcuni, la frequenza degli stupri del passato ha impresso in una parte della popolazione dei tratti mongoli; ma alcuni ritengono che questi siano il lascito del passaggio dei Cumani prima che evaporassero nella grande pianura ungherese.”

Uso ancora una volta le parole di Patrick Fermor per descrivere ciò che allora, come ora, è l'impatto che queste particolari chiese, le chiese fortificate, lasciano al visitatore.
A presto per scoprire alcuni dei paesi della Transilvania, cresciuti proprio intorno a queste splendide chiese, patrimonio mondiale dell'umanità....

venerdì 17 gennaio 2020

In Transilvania, sulle tracce del Conte Dracula

1934:
“Mi unii ad una comitiva armata di falci e roncole e con i lattanti al collo. Le ampie tuniche tessute a mano erano rimborsate in vita da cinture larghe come sottopancia, alcune borchiate, e quelli che non erano a piedi nudi calzavano gli ormai familiari mocassini dalla punta ricurva legati da corregge di cuoio. Indossavano rozze giacche di vello di pecora con il pelo all'interno e i copricapi - coni bulbosi di pelo nero o bianco alti una trentina di centimetri - conferivano loro un’aria selvaggia e ardita.”

 
Siamo in ROMANIA, l'antica provincia romana della DACIA!

Per iniziare a parlare del mio piccolo tour mi sono servito di Patrick Fermor (Fra i boschi e l'acqua) che, quasi 100 anni fa, si apprestava ad attraversare a piedi queste terre, in un lungo viaggio dall'Inghilterra fino a Costantinopoli.
Quello che vide e visse sulla sua pelle è un po’ quello che si può ritrovare anche oggi, soprattutto nelle zone rurali.
La Transilvania, dal Medioevo ad oggi, infatti, ha subito pochissimi cambiamenti; l’agricoltura è ancora la forma di sostentamento più comune, tramandata a costo di dolore e fatica perché, oltre le invasioni ed i cambi di "proprietà" che ha sempre subito, è stata conservata tale anche il regime comunista, non facendola progredire, ma neanche snaturandola. Ancora oggi percorrere la Transilvania dà la sensazione di camminare in un limbo indefinito che spazia dai nostri giorni al Medioevo. Ed è una gran fortuna!


Ecco com'è andata....
Dopo aver prenotato il volo per Bucarest non sapevo ancora cosa sarei andato a cercare né cos' avrei potuto trovare in Romania. Avevo solo una vaga idea di quel che poteva interessarmi e, nel mio immaginario, come penso sia in quello della maggior parte della gente, mi sarei aspettato una Transilvania verde di boschi, irta di valli buie e tetre e costellate da fortezze e castelli. Quest’immagine deriva più dai film sul vampiro più famoso del mondo che da una vera e propria conoscenza della regione.
Un viaggio inizia sempre allo stesso modo, alla ricerca di documenti, romanzi, articoli di giornale e guide. Di solito mi piace vedere i luoghi dov'è passata la Storia, particolarità che caratterizzano la zona, i posti meno frequentati dalla gente... E così ho iniziato a farmi un’idea su quello che avrebbe potuto piacermi e che mi avrebbe spinto nella faticosa scoperta di una parte di mondo che ancora non conoscevo.




Dracula, il conte Vlad.

“In Romania è sempre stato chiamato Vlad Tepes (L’impalatore), ma per gli stranieri, che avevano in mente suo padre, Vlad il Drago (Vlad Dracul), egli era il figlio del Drago.
Fu l’esotico e dragonesco trisillabo, accompagnato da una vaga aura di crudeltà sanguinaria, a dare a Bram Stoker l’idea del <<Conte Dracula>> vampiro, che di notte vola in frac e affonda gli incisivi nella gola delle sue vittime [...].
Il fatto che la Transilvania sia effettivamente una terra di castelli, foreste, conti e vampiri, e alcuni confusi filoni di storia regionale siano in qualche modo riusciti ad aggrovigliarsi nell'atmosfera del romanzo, lo ha sempre escluso da qualsiasi possibilità di gradimento. Gente che dovrebbe sapere come stanno le cose sfrutta la confusione tra le due figure, e quando viene indicato <<il castello di Dracula>> a una vagonata qualsiasi di turisti, sospetto che non sia la figura storica quella che appare nelle loro menti – il principe con il copricapo piumato: gli occhi sporgenti, i baffi fluenti […] -, bensì un azzimato conte da operetta, con cappello a cilindro, mantello foderato di seta e qualcosa di strano agli incisivi; un tizio che andrebbe bene anche per la pubblicità del dopobarba, per le lezioni di tango o per segare a metà una signora chiusa dentro una cassa in uno spettacolo di varietà.”


Ho iniziato il mio racconto parlando di Dracula e in Transilvania c’è un castello meta di migliaia di turisti ogni anno, proprio perché attribuito alla figura del “Conte Dracula”. Si tratta del castello di Bran, località a ridosso dei monti Carpazi il cui castello non ha alcun tipo di legame con il famoso personaggio Rumeno.
La leggenda creata da un romanzo intorno a questo personaggio è puro frutto della fantasia di uno scrittore irlandese che, probabilmente, non mise mai piede in Romania. Vlad III nacque probabilmente a Sighisoara, di cui parlerò in seguito, e venne inviato dal padre in Turchia, a suggello del patto che la regione amministrata dal padre aveva fatto con il governo Ottomano.

Una volta tornato in patria Vlad trovò la famiglia barbaramente uccisa ed iniziò così la sua feroce opera di rivincita e vendetta. Venne denominato “Tepes” dai turchi, ossia “l’impalatore”. Sadica pratica di tortura che Vlad III usava contro i suoi nemici, meglio ancora se Turchi. 
Il mito di Dracula è alimentato dal nome che egli stesso si attribuiva: Vlad Dracul. Ciò stava solo a significare che Vlad era figlio “del Drago”, ordine cavalleresco di cui era stato insignito suo padre. Tale ordine era stato istituito dall’imperatore Austriaco Sigismondo e che aveva il compito di difendere la famiglia reale da eventuali attacchi.

Il bellissimo castello di Bran era un' importante stazione di frontiera posta al confine tra la Transilvania e la Valacchia, una vera e propria dogana dove venivano pagati i tributi per le merci trasportate.
Il castello in sé è splendido, un bellissimo esempio di struttura militare adibito, in seguito, ad alloggio dei Reali di Romania; nel 1920  il castello venne donato alla Regina Maria come ringraziamento ai sovrani per il loro impegno nell'avvenuta unificazione della Romania.
L’arredamento interno è l'originale che derivò dalle ristrutturazioni fatte per ospitare i Reali, le sale danno un'idea dello stile di vita dei primi del novecento, nonostante una location d'eccezione come lo splendido castello medievale.

Per concludere con Dracula è doveroso dire che nel castello di Bran sono state dedicate due sale al vampiro di Bram Stocker; in queste stanze viene spiegato chi era Vald Tepes e come si è arrivati al mito di Dracula.







Rasnov (come si evince dalla scritta...)

A pochi chilometri di distanza dal castello di Bran si trova la cittadella di Rasnov, appollaiata sulla cima di una ripida collina che si affaccia su una vasta pianura coltivata. I Carpazi meridionali come corona. 
Arrivando da Bran la cittadella affascina man mano che ci si avvicina. Il paese ai suoi piedi e la fortificazione sono una visione d’incanto, rovinata solo dall’Hollywoodiana scritta a caratteri cubitali arroccata sulla collina: “Rasnov”.... Altrimenti è possibile scambiarla per qualcos’altro!
All’interno della cinta muraria i pochi edifici che ancora hanno una copertura sono stati adibiti a negozi di souvenir e la piccola colonia di gatti che abitano la fortificazione danno quel tocco di "selvaggio" che collane e magliette vogliono a tutti i costi stemperare.

A presto per la seconda parte con il vero gioiello della Transilvania....