lunedì 3 febbraio 2020

I villaggi sassoni e le chiese fortificate


“Mentre guidavamo verso sud, attraverso vigneti e campi di luppolo, le colline boscose fecero ben presto scomparire dalla vista il pinnacolo di Sighisoara. La campagna si stendeva ampia e solenne, con piccoli villaggi annidati fra gli alberi sulla riva dei corsi d’acqua. Se domandavamo il nome dei paesini, gli abitanti indicavano sempre nomi sassoni: Schaas, Trappold, Henndorf, Niederhausen. […] 
Erano costruiti intorno ad un cortile centrale recintato, con ingressi ad arco ribassato per i carri, cancelli con tettoia a scandole, tetti a displuvio e file di finestre sui timpani che si affacciavano sulla strada. 

Le murature erano solide, fatte per durare e moderatamente adorne, qua e là, di audaci tocchi barocchi. Al centro di ciascun borgo, una robusta chiesa erigeva un tozzo campanile quadrangolare dall'aspetto rude e difensivo. […] Perforati da feritoie, i muri salivano lisci, per poi espandersi nelle caditoie; al di sopra di queste, una fila di montanti formavano una loggia su cui poggiava la piramide della torre campanaria. Tutti gli elementi architettonici avevano precise funzioni, come pezzi di un’armatura, e i montanti tra cuspide e cimasa conferivano al tetto triangolare l’aspetto di un elmo con la nasiera e le fessure per gli occhi. Tutte le chiese avevano una celata del genere. […]

Nessuna delle chiese incontrate dopo la frontiera rumeno-ungherese aveva quell'aspetto bellicoso; era anche vero, però, che nessuna era altrettanto antica. […] Era per difendersi dai Turchi? “Si, era contro i Turchi, ma c’erano stati nemici anche peggiori.
Ah, certo! Dissi pensando di avere capito: le chiese corazzate dovevano essere state erette dopo l’invasione dei tartari di Batu Khan (nel 1241), la tribù mongola che aveva ridotto in cenere il Regno, incendiando chiese e castelli, massacrando a migliaia gli abitanti e riducendo in schiavitù intere popolazioni. […]
L’ultima incursione tartaro-turca, per quanto non si fosse spinta a fondo quanto quelle dei predecessori, era avvenuta nel 1788; e nel vasto arco di tempo tra il 1241 e il 1788 le incursioni minori da parte dei tartari e di altre bande di predoni erano state endemiche.
I razziatori attraversavano la Moldavia, superavano il passo di Buzau nell’angolo sud-orientale dei Carpazi, e quindi si riversavano nel prospero Burzenland, nella regione vicina a Kronstadt (Brasov). […]
All’arrivo dei razziatori, gli abitanti dei villaggi fuggivano nei boschi e spingevano cavalli e mandrie nelle vaste grotte dei Carpazi. […] Poi, circa un secolo dopo la costruzione di quelle chiese, furono prese misure più adeguate: le città furono cinte di mura fortificate. 
Incredibili cerchi di pietra con all’interno file sovrapposte di rifugi di legno e scale per raggiungerli, come se fossero i palchi di un rustico teatro d’opera. Ciascun rifugio era assegnato a una famiglia, che vi ammassava riserve di carne salata, prosciutti e formaggi nell’eventualità di un assedio improvviso. […]
Queste incursioni hanno lasciato poche altre tracce, se non forse genetiche: secondo alcuni, la frequenza degli stupri del passato ha impresso in una parte della popolazione dei tratti mongoli; ma alcuni ritengono che questi siano il lascito del passaggio dei Cumani prima che evaporassero nella grande pianura ungherese.”

Prejmer:
E’ la prima chiesa fortificata che mi vado a visitare e non so bene cosa aspettarmi. Ho visto qualche immagine, ma come mio solito mi spingo poco oltre per non rovinarmi la sorpresa. Leggo, mi informo e mi faccio un’idea. Il piacere del trovare conferme “sul campo” , o delle smentite, è tutto mio ed è un po’ il sale del mio viaggio.


La chiesa di Prejmer non delude affatto e, a posteriori, potrei dire di aver iniziato con la più particolare e sorprendente. Il primo “stadio” di fortificazione oltre l’ingresso, che porta al rifugio vero e proprio è già di per sé una fortificazione. Alla “zona sicura” si accede mediante uno stretto e basso corridoio, uscendo dal quale ci si affaccia in un intricato dedalo di ballatoi in legno sospesi su più livelli. 



Centinaia di porte si affacciano su  queste piattaforme scricchiolanti e, mediante scale che sembrano posizionate a caso, si ha l’accesso ai diversi piani.
Alcuni passaggi permettono di entrare nell’anello esterno delle fortificazioni che, mediante feritoie, dava la possibilità di attaccare il nemico turco proteggendosi dietro le spesse mura.
In alcune sale è stata ricavata un’ esposizione dove vengono messi in mostra gli strumenti con cui gli artigiani lavoravano legno e tessuti. In alcuni di questi ambienti sono ricostruiti questi “monolocali” d’emergenza e, curiosando un po’, ci si ritrova anche una piccola aula scolastica con tanto di lavagna e banchi.

Esco da questa visita curioso di vedere altre chiese di questo tipo. A mano a mano che mi accingevo a scoprire questa meraviglia, ho mantenuto a lungo uno sguardo stupefatto. Non ero alla ricerca dell’aspetto religioso, la chiesa difesa dalla fortificazione non è nient’altro che una chiesa, ma quello che mi ha sorpreso di più è che varcando il porticato d’ingresso si entra in un mondo immobile nella storia. La Storia fatta da semplici contadini e dall’organizzazione dettagliata di ogni spazio che si erano imposti. In questi luoghi non era il re o il principe di turno a dover ricavare spazio e protezione, ma cittadini che dovevano “semplicemente” salvarsi la vita.



Harman:


Anche la bianchissima chiesa fortificata di Harman è un gioiello da scoprire. L’aspetto esteriore è imponente e le poche feritoie la fanno apparire austera, benché candida alla luce del pallido sole.
L’interno è simile a quanto già visto a Prejmer, ma meno claustrofobico. L’aspetto è simile ad un’enorme fattoria in cui ogni ambiente, se non adibito ad alloggio, aveva una funzione: alcuni utilizzati per le arti e mestieri necessari alla vita di campagna, ma vi trova posto anche una bella cappella affrescata.

Sono l’unico visitatore di questa meraviglia e me la godo fino all’ultimo brandello di luce.
Esco che è quasi buio e sorrido nel sapermi disperso in un piccolo avamposto sassone, sono tornato al 1500 e sono in Transilvania.

Biertan:

L’affascinate paese di Biertan cresce intorno ad una imponente chiesa fortificata, le sue torri e la posizione soprelevata la rendono del tutto simile ad una cittadella.
L’interno della chiesa è diviso in tre navate, lo spazio è enorme considerando che ci troviamo in un paese di poche migliaia di abitanti. La pala d’altare risplende con i suoi ricami dorati a gettare un po' di colore ad uno stile altrimenti austero.
La particolarità della chiesa di Biertan sta anche nella leggenda secondo cui una torre della fortificazione era utilizzata per rinchiudere le coppie che si stavano separando. La "cura" durava tre settimane durante le quali le coppie venivano costrette a convivere senza nessun'ingerenza esterna. Spesso la crisi veniva risolta e le coppie tornavano a vivere insieme. 

Alma Vii:
Proseguendo da Biertan su strade secondarie si arriva a questo piccolo paesino dove, benché sia tarda mattinata, c’è pochissima gente in giro.
Arrivo alla chiesa fortificata che, sulla collina al centro dell’abitato, si scorge già in lontananza. Sembra tutto chiuso e nessuno intorno a cui poter chiedere. Apro il cancello che sale alla collina e mi avventuro; nemmeno i cani randagi si occupano di me, pacifici come le persone che vivono in queste zone. In cima alla collina, oltre la chiesa, c’è il cimitero e la scuola. Il fulcro della vita spirituale di Alma Vii.

Trovo ovviamente la chiesa chiusa e mi fermo un po’ per respirare. Non è la fatica a tagliarmi il fiato, piuttosto l’emozione: qui il poco che c’è sembra veramente tanto! E il silenzio ne è la degna colonna sonora.

Viscri. Dacia. 28 dicembre, ore 17 circa.
La più bella sensazione provata finora!
Arrivo a Viscri per vedere la chiesa fortificata. Un signore rumeno, lì con la famiglia, mi dice che la chiesa è chiusa e che, se volevo, potevo entrare nel cortile, risalire la collina e farmi il giro delle mura esterne. Mi ha detto che ha provato a chiamare il custode (il numero era indicato sul cancello del cortile), ma la signora ha risposto che non sarebbe venuta, “fa troppo freddo”.
Ho così risalito la collina, l’aria era blu di neve, il paese silenzioso dietro le piante di questo cortile imbiancato.

Nevica poco e non tira vento… Viscri ora e Alma Vii questa mattina mi hanno dato l’impressione di essere alla “mia” Msoura in Marocco o ad Eyup ad Istanbul. Posti carichi di energia che ho cercato ed ho raggiunto. Faticosamente e impiegando tempo. Ma ripagano di ogni singolo sforzo, di ogni sogno fatto sopra questi luoghi unici, incantati. Fermi nel tempo. E’ così che le immagino, le emozioni e i sogni possono diventare immortali, è semplicemente come entrare a piedi pari in un’altra dimensione.

Qui in Transilvania la natura è quasi incontaminata, pura. Il trattore per questi contadini è quasi un privilegio; vacche, buoi e cavalli camminano tranquillamente per le vie del paese dove l’illuminazione pubblica non c’è mai stata. Si abbeverano alla fontana e rientrano pacificamente in casa, nella stalla.
Persone tranquille, ombre, a quest’ora della sera, camminano per strada o si attardano difronte all'unica luce presente in zona, probabilmente un bar. La Transilvania è ancora un remoto angolo di pace.

Riparto soddisfatto da Viscri nel silenzio della campagna. Il vento e un po' di neve mi accompagnano da stamattina, ma mai, in tutta la giornata, ho avuto questa sensazione di benessere addosso. Improvvisamente sulla strada un cartello stradale mi porta indietro di 2000 anni. Siamo in Dacia, dove i romani venivano a cercare l'oro. Da allora è cambiato poco. Fortunatamente!

Brasov

Brasov è stata la mia base per gli spostamenti in Transilvania, si tratta di una  bellissima e tranquilla cittadina a ridosso delle montagne Butegi che, tramite il passo di Sinaia, la collegano con la grande pianura di Valacchia.
Purtroppo l’ho sfruttata poco, di sicuro non l’ho apprezzata quanto meritasse. Sono però riuscito a viverci nei momenti di relax anche perché Brasov è piena di bellissimi locali, molto frequentati ad ogni ora del giorno.

Il centro storico è stato ristrutturato e ordinato alla perfezione ed anche la zona che lo circonda, nonostante siano presenti palazzi che “puzzanodicomunismo”, non è affatto trasandata. Viali alberati e piccoli parchi cercano di dare colore ad una periferia altrimenti un po’ monotona, ma nei sobborghi resistono ancora quartieri che conservano le vecchie case rumene.

Brasov meriterebbe di più, io, purtroppo, l’ho onorata solo con laute cene.


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